martedì 7 aprile 2020

Il nutrimento dell'anima


Ieri, dopo anni che non lo facevo, ho sentito l’esigenza di riprendere una matita in mano e realizzare un disegno che prepotentemente sentiva il bisogno di uscire da me.
Ma andiamo con ordine.
In questo periodo mi sono cimentato nella rilettura di un libro di Haruki Murakami, nello specifico L’assassinio del commendatore. Ora non voglio stare qui a ripetermi su quanto sia pazzo per questo scrittore e di come, i suoi mondi, riescono a rimanermi dentro ogni volta che leggo qualcosa di suo. Rischierei di essere ridondante. In breve, il protagonista di questa storia è un pittore, non sappiamo il suo nome, per tutto il libro non ci viene detto. La storia la narra lui in prima persona e sembra quasi di viverla sulla propria pelle. Quando il protagonista descrive i quadri che sta facendo e il modo in cui escono fuori dalla sua anima, si ha la sensazione di un qualcosa di tangibile. Murakami riesce proprio a farli sentire in corpo questi pensieri ed è riuscito a far rinascere anche in me, la voglia di tornare a disegnare e, nello specifico, proprio la scena che sto per andare a raccontare.
Si tratta di una fotografia. Una foto che ho sentito il bisogno di scattare. In questo periodo di quarantena, ciò che mi manca di più, sono sicuramente le lunghe passeggiate per la mia città. Qualche mese fa mi ritrovavo dopo molti chilometri di camminata tra le vie di Roma a risalire una scalinata, nello specifico la Rampa della quercia. Davanti a me si è parata una vecchia scalinata tutta sgangherata e un antico tronco d’albero ormai morto, tenuto in piedi da dei tiranti e un vecchio palo ormai arrugginito. L'albero o ciò che ne rimane è posto sopra una effige in vecchi mattoncini e con una targa che cita queste bellissime parole:

S.P.Q.R.
_____
ALL’OMBRA DI QVESTA QVERCIA
TORQVATO TASSO
VICINO AI SOSPIRATI ALLORI E ALLA MORTE
RIPENSAVA SILENZIOSO
LE MISERIE SVE TUTTE
TRA LIETE GRIDA SI FACEVA
CO’ FANCIVLLI FANCIVULLO
SAPIENTEMENTE
_____
MDCCCXCVIII

Dentro di me si è smosso qualcosa e sentivo il bisogno fisiologico di scattare una fotografia. O forse era il posto che voleva essere fotografato, non sono ancora riuscito a capirlo. Ci sono luoghi e situazioni che si vengono a creare che è difficile riuscire pienamente a comprenderne il significato. Ci emozionano, ci lasciano e si prendono qualcosa, a noi non ci rimane altro da fare che prendere questo tipo di esperienze e farle nostre. Chiuderle in noi fino a quando non arriva il momento di tirarle fuori.
Il tempo non era bellissimo, il cielo era coperto e cadeva una pioggerellina fine che dava la sensazione di commemorare con nostalgia questo luogo. La luce era pallida e uniforme, senza troppi contrasti. La scena era perfetta per una foto in bianco e nero.
Quando andavo a liceo ho fatto fotografia, in un periodo in cui il digitale era ancora all’alba dei tempi. Avevo imparato a sviluppare in camera oscura rullini e foto in bianco e nero. Era emozionante e stimolante. Questo amore smisurato per il bianco e nero mi è rimasto dentro e ci sono delle volte che, come un assetato, devo bere da questo calice.
Scattai una sola fotografia, mi è sembrata perfetta. Non mi piace scattare un sacco di foto dello stesso soggetto. In questo mondo digitale è facile fare foto perfette con infiniti tentativi a disposizione, diventa impossibile non riuscirci. Ma catturare l’essenza di un soggetto in un colpo solo è tutta un’altra storia. Personalmente, cerco sempre di cogliere questa essenza con una sola fotografia. Non so poi se effettivamente riesca nel mio intento, ma penso che avere la possibilità di scattare migliaia di foto rende ciò che si fotografa un qualcosa privo di anima o in qualche modo ho la sensazione che lo si sminuisce facendogli perdere di valore. Nella fotografia, come nel disegno (un tempo sicuramente coltivavo di più questa passione) cerco di tirare fuori l’unicità delle cose, cercando di dargli il giusto valore e il dovuto rispetto.



Lo scatto mi soddisfaceva e ho continuato la gradevole passeggiata sotto un cielo malinconico.
Ora tornando a Murakami, da quando ho ricominciato la seconda lettura di L’assassinio del commendatore, leggendo, anzi, sentendo addosso i pensieri del protagonista, provavo in me il bisogno di riprendere quella foto e disegnarla. Cercare in qualche modo di tirarne fuori ancora dell’altro. Più andavo avanti nella lettura e più questa esigenza si faceva forte. Murakami ti entra dentro e ti smuove corde sepolte nei meandri dell'anima e te le fa vibrare talmente forte da sentirne la musica. Quella musica l’ho fatta uscire attraverso il disegno. Non sarà certo un capolavoro, anzi sono proprio arrugginito sotto questo aspetto, ma dopo aver tracciato delle linee, iniziato a dare forma alla scena, piano piano ho iniziato a metterci qualcosa di mio. Non mi sono limitato meramente a copiare una fotografia ma ho cercato, attraverso il disegno e nelle forme, di dargli un qualcosa di mio, della mia anima. Magari il risultato non sarà stato eccezionale ma in cuor mio  mi sento veramente soddisfatto.



L’emozione che mi ha suscitato l’atto stesso di disegnare e creare qualcosa di mio, bhe, sono emozioni davvero forti e appaganti per me stesso. Quello è l'importante. Fare ciò che ci fa stare bene è il nutrimento della nostra anima e ognuno dovrebbe perseguire questo obbiettivo nella propria vita. In questo periodo più che mai.





Risveglio

Il suono della sveglia ti entra nella testa ancora ti rifiuti di svegliarti.  Lo senti arrivare da lontano  inesorabile ti penetra dentro il...